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Scritti per Ventiquattro

Smascherati dal cervello

di Sylvie Coyaud

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Illustrazioni di Gianpaolo PagniIn India due giovani sono stati condannati all'ergastolo sulla base di un'unica prova: l'analisi dell'attività cerebrale. Questo accadeva un anno fa, nel frattempo gli strumenti per frugare nel cervello si sono affinati. Oggi a Kyoto un gruppo di matematici, informatici e neurologi cerca di registrare e riprodurre le immagini più private, come i sogni


Due anni fa Aditi Sharma, ammessa all'Indian Institute of Modern Management di Puna, s'innamora di Pravin, un suo compagno di master, e lascia il fidanzato Udit. I tre s'incontrano al McDonald's, dove Udit muore avvelenato da un dolce prasad all'arsenico. Al processo Aditi e Pravin si dicono innocenti, ma nel giugno 2008 vengono condannati al carcere a vita, lui per omicidio e lei come complice. L'affaire è molto seguito dai media locali, perché entrambi gli imputati sono di buona famiglia e il pubblico ministero è una signora decisa, estroversa e popolare.
Ha ottenuto la condanna di Aditi grazie a una prova scientifica: il cervello della ragazza, è scritto nella sentenza, contiene una «conoscenza esperienziale» propria solo di chi era al corrente dei preparativi. Trovata con il consenso della giovane e con un programma informatico capace di leggere nelle onde cerebrali, per il giudice la prova è inoppugnabile. In India come nel resto del mondo, gli esperti invece concordano: la lettura di quelle onde non si distingue da quella dei fondi di caffè. Quanto al metodo, detto Beos per Brain electric oscillation signature, è la prima volta che lo sentono nominare.
Champadi Raman Mukundan, inventore del Beos e titolare del brevetto, ha confidato al «Times of India» e a numerosi altri giornali di averlo derivato da ricerche americane. Potrebbe arrivare dall'America anche l'idea di propagandarlo sui media, prima che l'efficacia sia stata dimostrata con altri esperimenti. In precedenza sul «New York Times» sette neuroscienziati avevano raccontato l'esito di un loro sondaggio nel cervello di venti elettori indecisi, mentre guardavano foto dei candidati alla presidenza degli Stati Uniti. Nelle immagini ottenute con la risonanza magnetica, gli autori leggevano indifferenza, simpatia o paura e ne deducevano consigli che impartivano generosamente ai politici. L'indomani, colleghi più famosi hanno però mandato lettere al direttore per demolire la scientificità dell'operazione e della disciplina, detta neuropolitica, che si voleva fondare. Con tatto hanno sorvolato su un dettaglio: per lo stipendio o i finanziamenti, gli autori dipendevano dalla Fkf Applied Research, che vende alle multinazionali ricerche simili sul gradimento di prodotti e spot pubblicitari. I consigli di solito erano a pagamento.
Il mese scorso, Salvatore Aglioti della Sapienza ha citato quel sondaggio cerebro-elettorale sulla «Stampa», per ricordare che la sua università aveva ospitato il primo convegno italiano di neuropolitica. Il giorno dopo, a Padova, Aglioti è intervenuto al primo convegno italiano di neuroetica ed è stato gentilmente preso in giro dalla platea. Anche lui intendeva arricchirsi con questo genere di servizi? No, no, ha risposto un suo collega, è ricco di suo.
Figlia della bioetica e nata insieme alla neuropolitica, la neuroetica dovrebbe suggerire alla società e ai poteri che la governano se, quando e come ricorrere alle tecniche delle neuroscienze. Ma quante sono quelle affidabili? Dopo Puna, se lo è chiesto anche Edward Vul, uno studente del Massachusetts Institute of Technology. Insieme a tre giovani ricercatori dell'Università della California ha analizzato 54 studi di imaging per risonanza magnetica che collegavano intenzioni, giudizi e pregiudizi verso il prossimo all'attività di un'area cerebrale. Lo studio sta per uscire su una rivista specializzata. Intitolata Voodoo correlation in social neuroscience, circola tra gli addetti da dicembre e afferma che circa metà delle "scoperte" poggiano su statistiche approssimative o su segnali estratti sbrigativamente dal rumore di fondo.
Vul ha ricevuto qualche critica e applausi scroscianti da ricercatori, secondo i quali gli "immaginisti" interpretano con troppa fantasia le chiazze luminose che vedono accendersi nel cervello. Raffaella Rumiati, della Scuola internazionale di studi superiori avanzati di Trieste, afferma che c'è un eccesso di fiducia nella tecnologia. «Da neuroscienziati cognitivi - spiega - noi invece tendiamo a diffidare del "cono d'ombra" per dirla con Virginia Woolf, del divario tra i segnali ridondanti, sovrapposti, che i sistemi di imaging ci mostrano, e la chiarezza che ci piacerebbe trovarci». Eppure li usa. «Ci mancherebbe, ma senza scambiarli per la macchina della verità, assieme a dati ottenuti da altri tipi di esperimenti e soprattutto con un modello tra causa ed effetto proprio della neuropsicologia».
A Padova, la filosofa Laura Boella citava Voodoo correlation per screditare la pretesa di portare alla luce quello che ci passa per la mente. Non sarà mai trasparente ed è meglio così, sostengono altri filosofi e neuroeticisti, la sua opacità è il miglior garante del diritto all'inviolabilità e alla libertà dei nostri pensieri. Davvero?
  CONTINUA ...»

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